domenica 12 maggio 2013

Suicidio.

Mi sveglio una mattina come tante, accendo il mio pc e mi rimbalza in faccia un amico dopo l'altro la foto di Giusy. 

Non la conosco, ma la foto la riporta su un'altalena con un sorriso enorme e un'allegria palpabile. 
Capelli castani e ricci, di quel riccio ribelle che non si riesce a domare. 
Il sorriso solare, di quelli che raramente dimentichi.

Io non so come si fa.
Non lo so davvero. 

Si spegne un interruttore, dicono.
Ti butti e non ci pensi più.

"Mamma vuoi vedere come cado giù?"

E poi è solo mani che cercano di afferrare un piede, un lembo di maglietta, e poi più nulla.

Non resta più niente.
Il suono dell'ambulanza è tutto ciò che resta.

Un senso di colpa indomabile, che ti rode da dentro. Ti squarcia, ti lascia senza fiato, ti strappa via la voglia di vivere.

E' questo che rimane di te Giusy.

E allora la mia domanda è: perché? perché hai spento l'interruttore? perché? 

E' così effimera la vita.
Io non lo so davvero.

E quando penso a te che ti sei tolta la vita in una giornata di sole, di quelle che ti illuminano il viso, non lo so davvero. Io non lo so.

E mentre ho davanti agli occhi un'immagine mai vista di te che ti lanci nel vuoto davanti agli occhi atterriti di tua madre riesco solo a pensare che io invece voglio vivere, fosse solo per vedere quegli occhioni.

Gli occhi di mio figlio.

Che è un modo come un altro per dire che l'unica cosa che voglio vedere adesso è il futuro, il mio e il tuo Giusy.
Si, il tuo.

E non lo so, non lo so davvero.

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